Benessere

Mindful eating: come si risolve una volta per tutte il “rapporto” con il cibo

Mindful eating cos’è e come ci aiuta ad avere un “rapporto” risolto con il cibo PER SEMPRE! Abbiamo intervistato la psicoterapeuta Francesca Mauro dello Studio Sailing, una delle massima esperte di Mindful Eating.

A tutti può accadere di mangiare voracemente o di seguire l’impulso di mangiare anche se non affamati; questi comportamenti possono inoltre essere accompagnati da senso di colpa, rabbia, tristezza e ulteriore ricerca di cibo. La MINDFUL EATING non è una dieta, lo scopo non è quello di perdere peso, ma quello di alleggerire il nostro rapporto con il cibo dal peso di emozioni come quelle prima citate non per smettere di essere golosi, ma per essere consapevoli di quanto ci accade mentre facciamo eccessivo ricorso ai dolci.

Mindful Eating cos’è?

Noi del Centro Medico Acaia vi ascoltiamo sempre attentamente.

Siamo donne, come la maggior parte di voi pazienti e vi capiamo profondamente: sappiamo che in questa quarantena, ma in generale nella vostra vita, prima e anche dopo i nostri trattamenti, ci avere riportato difficoltà a controllare i vostri impulsi e avere voglia di mangiare semplicemente per sentirvi meglio. Capita spessissimo a tantissime persone.

Questo, a volte, può portare a non mantenere a lungo termine gli ottimi risultati che riusciamo a raggiungere insieme, proprio perché la nostra mente, spesso, non è nostra alleata, specie nei momenti di grande angoscia come questo.

E allora abbiamo voluto chiedere a una psicoterapeuta esperta: cosa può fare concretamente chi

1) è ingrassato in questo periodo così delicato

2) è arrabbiato con se stesso per non essere state “bravo” a controllarsi 

Come possiamo integrare il nostro lavoro medico estetico con uno più profondo come quello della Mindful Eating?

Partiamo dalla definizione del termine. La Mindful Eating è un ambito specifico d’applicazione della Mindfulness, una particolare tipo di consapevolezza data dalla capacità di portare l’attenzione al momento presente intenzionalmente e senza formulare giudizi.

La nostra mente è naturalmente in automatico portata a ripercorrere eventi accaduti, quindi rivolgersi al passato, a prevedere eventi futuri e a programmare aspetti della vita quotidiana ma questo accade mentre facciamo altre cose, quindi non riusciamo mai a essere correlati con la nostra esperienza presente. Inoltre il pensiero tende, in alcuni soggetti più che in altri, a formulare giudizi, talvolta severi, su ciò che accade intorno a noi e su ciò che noi facciamo.

A: Dottoressa Mauro, questo significa che la nostra mente è abituata e non essere mai nel qui ed ora: mentre facciamo qualcosa pensiamo sempre a qualcos’altro, anche quando mangiamo spesso facciamo sempre altro. Ma perché?

M: Perché l’essere umano è dotato di una strategia di adattamento poderosa che è proprio la capacità di formulare il pensiero astratto. L’uomo risolve i problemi formulando ipotesi e vagliandole prima di mettere in atto il comportamento concreto quindi è una strategia estremamente efficace perché consente all’essere umano di non andare avanti per tentativi ed errori ma qualche volta si cade sotto quella che alcuni autori chiamano la tirannia del pensiero: noi non siamo consapevoli che il pensiero si attiva in situazioni varie, attivando a sua volta le emozioni e noi non riusciamo a renderci conto di quello che sta accadendo veramente dentro di noi.

A: Quindi la nostra mente vaga e nel suo vagare si sofferma spesso sul nostro stesso comportamento, criticandolo, come quando esageriamo e ci sentiamo in colpa. Su questo aspetto come interviene la Mindful eating?

M: Nel nostro organismo c’è un sistema che ci avverte quando abbiamo bisogno di ingerire calorie (il senso della fame). Quando abbiamo fame mangiamo e mangiando arrivano segnali al cervello per cui si attiva un altro indicatore che ci dice “basta fame, sei sazio”. In realtà a volte non accade questo perché noi mangiamo più del dovuto perché sono in ansia, preoccupata, sotto stress e quindi succede magari che io ho mangiato ma faccio ricorso subito dopo al gelato per placare la mia ansia, quindi le calorie che introduco in più hanno un effetto sul mio peso, può aumentare il mio colesterolo e questo mi porta a essere triste perché si è prodotto questo effetto negativo sul mio organismo (e questo è un primo livello di sofferenza).

La mente però non si ferma e aggiunge una quota di sofferenza e di tristezza aggiuntiva legata al fatto che io non solo sono ingrassata e magari triste per questo ma mi rimprovero per non essere stata capaci di evitare di andare a mangiare il gelato e quindi magari mi dico: “lo vedi, sei sempre la stessa, non sei capace di trattenerti, è vero, non hai carattere!“. E quindi soffro anche per questa valutazione negativa che io ho dato a me stessa.

Badate bene che non funzionerebbe neanche dirsi “non devo sentirmi in colpa”. Nella mindful eating non bisognare per forza fare, neanche smettere di criticarsi, piuttosto percepire il senso di colpa, riconoscerlo, notarlo e accettarlo: conoscerlo come parte di sè aiuterebbe già a eliminare la sofferenza del rimprovero verso se stessi (il secondo livello di sofferenza) ed è proprio questo lo scopo ultimo della mindfulness: imparare a essere consapevoli di quello che ti accade mentre accade, di quello che pensi e di quello che succede dentro di te.

A: Può rendere più chiaro il processo che porta alla consapevolezza? Come si raggiunge?

M: Lo stato di consapevolezza nella Mindfulness in generale si raggiunge attraverso alcune pratiche meditative, ma alcuni esercizi possono far capire cosa si intende per consapevolezza del momento presente e uno tipico è l’esercizio dell’uvetta. Si prende un acino di uva passa e ci si pone in relazione come fossimo bambini che vedono questo alimento per la prima volta attraverso i 5 sensi. Cominciamo ad osservarlo in ogni caratteristica che magari non abbiamo notato prima, poi lo tocchiamo e magari cogliamo i tratti che ci sono sempre sfuggiti, poi ci rendiamo conto che se lo muoviamo, lo stringiamo tra le dita e lo portiamo all’orecchio produce anche un suono, poi possiamo annusarlo in tutte le sfumature dell’odore che lo caratterizza e poi portarlo in bocca e gustarlo. Quindi ci mettiamo in relazione a un corpo così piccolo come in realtà non facciamo nel quotidiano scoprendo moltissimi aspetti conosciuti.

Facendo sistematicamente in questo modo si avrà poco tempo per pensare ad altro perché tutti i nostri sensi sono impegnati e focalizzati sul quel cibo lì e quindi sul momento presente.

A: L’alimentazione sbagliata porta spesso al sovrappeso quindi le chiedo, ma la consapevolezza del momento presente appresa mi fa dimagrire?  

M: La mindful eating non serve per dimagrire ma per apprendere un rapporto diverso con il cibo, quindi conduce a nutrirsi meglio e in maniera più consapevole e questo può avere l’effetto indiretto di perdere peso e soprattutto di mantenerlo. Con la ME non ci fermiamo al nostro piatto di pasta ma ampliamo lo sguardo sullo stesso piatto e andiamo a vedere quando iniziamo a fare la lista della spesa, quando vado al supermercato, quando decido di fare quel piatto di pasta, cucino, preparo, apparecchio la tavola, mi prendo il mio tempo e al tempo stesso rifletto e osservo su cosa sente il mio corpo mentre mangio, cosa penso e quali emozioni provo e quali comportamenti tendo a mettere in atto. La visuale si amplia enormemente ed esce fuori dalla stretta esperienza del mangiare il piatto di pasta.

A: La conseguenza è sentirsi anche più sazi. Ma come la mettiamo con l’impulso a mangiare per ansia e non per fame? Perché ho voglia di mangiare anche se non ho più fame?

M: Ci sono ragioni di carattere organico e ragioni legate al nostro pensiero. Intanto perché arrivi al cervello il segnale di sazietà ci vogliono circa 20 minuti e noi spesso mangiamo in molto meno tempo e quindi non riusciamo a percepire e leggere i segnali del nostro organismo spesso e quindi facciamo errori sia nella quantità che nella qualità dei cibi ingeriti dedicando troppo poco tempo all’atto del mangiare.

A prescindere poi dal senso di sazietà percepito o meno, la classica voglia di cioccolata, invece, mette in moto un altro meccanismo  psicologico legato all’esperienza personale: quando abbiamo uno stato emotivo spiacevole (non meglio identificato) impariamo strategie per renderlo meno intenso, come ricorrere al cioccolato. Nella mia vita quindi sperimento che mangiare cioccolata riduce la mia ansia, così apprendo quel comportamento che constato avere un’efficacia. Peccato che sia a brevissimo termine, motivo per il quale continuo a farlo spessissimo.

A: E allora cosa chi ci ascolta può iniziare a fare da solo per diventare più consapevole di cosa accade quando mangia? Come possiamo interrompere le vecchie abitudini?

  1. Rallentare e fare una cosa per volta (magari quando mangi spegni la televisione o evita di parlare al telefono);
  2. Non muoversi: restiamo senza parlare, evitiamo di muovere il corpo (ad esempio: aprire il frigorifero).
  3. Osservare l’atto del mangiare in ogni sua fase;
  4. Praticare (meditazione sul respiro);
  5. Non agire come sempre: sostituisci il fare (l’automatismo) al non fare. Chiediti quello che ti accade e puoi sperimentare che l’impulso (l’urgenza) è come un’onda: sale, raggiunge il suo apice e senza che tu intervenga scende da solo. La sofferenza che noi proviamo ci fa fermare prima perché andiamo al gelato e quindi non sperimentiamo mai che se non mangiassimo l’onda scenderebbe.

Dunque se fermiamo un comportamento automatico, creando uno spazio tra pensiero e azione/parola abitualmente seguenti, andiamo verso l’indebolimento (e la progressiva scomparsa) di un’abitudine disfunzionale consolidata.

mindful eating cos'è
Fonte: filosofiamica.it

A: Ma questo vuol dire che grazie alla ME diventiamo Gandhi?

M: La ME non nega, né esclude l’alimentazione inconsapevole; se necessario, un giorno in cui sono particolarmente occupato, ad esempio, potrei infatti decidere di comprare un pezzo di pizza e mangiarlo in auto, parlando di lavoro; pienamente consapevole di quello che faccio, agirei comunque in modo mindful. Quindi possiamo diventare consapevoli di tutte le volte in cui mangiamo inconsapevolmente.

In definitiva Applicare la Mindfulness all’alimentazione significa rendersi conto del fatto che il problema non è il cibo desiderato o l’impulso a mangiarlo, ma la pretesa di non sentire particolari desideri o urgenze riferite al cibo, per paura di rimanerne intrappolati. Avere un pensiero o una reazione fisiologica, provare un’emozione, non equivale tuttavia ad agire quanto sto sperimentando. Secondo gli apprendimenti della M è possibile mettere in atto un comportamento diverso dall’agito impulsivo attraverso la tecnica dell’urge surfing : non si tenta di controllare l’emozione, né l’impulso, ma ci si dispone a rispondere al desiderio pressante di cibo con atteggiamento di semplice osservazione, aperto, curioso e non giudicante. Il desiderio spasmodico di cibo diviene così luogo di autentica esplorazione e non presupposto per una reazione automatica e inconsapevole. Se permettiamo all’urgenza di seguire il proprio corso senza reagire, possiamo sperimentarne l’andamento simile a quello di un’onda che cresce, raggiunge il suo apice e decresce, senza recare danno.

Vi lasciamo con l’intervista integrale video